Cuphead Recensione

Ci voleva proprio un’opera di questo tipo! Ed è così che inizio questa mia nuova recensione. Per sottolineare quanto un titolo come Cuphead sia una ventata d’aria fresca, pur essendo in sostanza un prodotto old school (e fa un po’ strano che a portare freschezza sia un gioco concettualmente vecchio, nell’essenza e nello spirito).

Dopo un’attesa quasi snervante, poiché vi son stati vari momenti di stallo dal lontano E3 2014 sino alla recente uscita del titolo di StudioMDHR Entertainment, Cuphead è finalmente realtà! I fratelli Chad e Jared Moldenhauer sono riusciti a creare un prodotto veramente eccezionale, sia dal punto di vista artistico ed estetico che videoludico. Originalità è la parola chiave, perché Cuphead è veramente delizioso sotto tutti i punti di vista. Raramente si vedono esperienze di questo calibro, soprattutto oggi che, purtroppo, pur essendoci comunque un’alta qualità, vi è quasi una sorta di riciclo continuo di idee e di meccaniche di gioco (con le ovvie eccezioni del caso).

Ma ecco arrivare Cuphead, il quale riesce a lasciare ancora sbalordito il videogiocatore, ricordandoci che l’estro creativo è illimitato; deve essere solo spronato. Ci auguriamo quindi che la trilogia annunciata si concretizzi, siccome due sequel, con le ovvie migliorie ed aggiunte del caso, penso non dispiacerebbero a nessuno. Intanto, abbiamo però tra le mani questo presunto primo capitolo (che quindi speriamo non resti l’unico); andiamo dunque a vedere di che pasta è fatto. Sappiate che merita veramente un occhio di riguardo (anche due).

Dagli anni ’30 con furore Cuphead è volutamente ambientato ed ispirato allo stile di animazione dei cartoon anni ’30. Non mancheranno infatti citazioni ed omaggi vari. Quello che però dovete sapere è che tutto quello che vedete su schermo è completamente disegnato a mano; anche per questo lo sviluppo è stato piuttosto lungo, poiché vi è davvero un lavorone enorme alle spalle di questo titolo. Non si tratta solo di qualità artistica ineccepibile, ma anche di animazioni superbe. Talmente che il tutto è realizzato in maniera certosina, con gran cura e classe, sembra proprio di muovere un vero e proprio cartone animato. Con le nostre mani. Sensazioni così non si erano mai provate sino ad oggi. Abbiamo avuto prodotti stilisticamente inarrivabili come ad esempio Yoshi’s Island, Okami, Kirby’s Epic Yarn, The Legend of Zelda: The Wind Waker e tanti altri… eppure niente è mai riuscito ad essere così di impatto. Con questo non vogliamo dire che i titoli menzionati, ed altri, facciano schifo o che non siano all’altezza (anche perché poi ogni prodotto ha un proprio stile unico e peculiare).

Semplicemente, Cuphead è ad oggi il titolo con il comparto artistico e stilistico più originale e particolare che si sia mai visto. Il primo impatto quando lo si gioca è indescrivibile. Vi è persino una sorta di filtro che mostra l’immagine su schermo come fosse replicata dai vecchi televisori. Come se non bastasse, a rendere il tutto più peculiare è un character design veramente fuori di testa e bizzarro. Già solo guardando i due protagonisti, sorte di tazze antropomorfe, si intravede lo stile folle degli autori, ma ancor di più una volta che sarete faccia a faccia con i vari boss. Tutti scoppiatissimi e fuori di testa. Da una patata (quella vera e propria, eh…) ad una carota, sino ad arrivare a buffi pirati, clown malefici (Beppi the Clown… ricorderete a lungo questo nome) e chi più ne ha più ne metta. Solidissima è pure la colonna sonora, anch’essa ispiratissima all’epoca voluta dagli sviluppatori. Da padrone ci saranno le sonorità jazz, un mito di quegli anni.

Ciononostante, non mancheranno anche musiche e sound di altri generi musicali che hanno caratterizzato quell’epoca. Ad aprire il tutto è la simpatica canzoncina che potrete ascoltare nel menu start, davvero piacevole. Troviamo poi altri brani ricercati ed ispirati, infatti alcuni livelli e boss fight sono una bomba proprio grazie ad accompagnamenti musicali degni di nota, mentre in qualche altro caso ritroviamo tracce meno interessanti. Nota di merito anche agli effetti sonori riproposti, i quali risultano veramente ben realizzati.
Nel complesso, dunque, il lavoro svolto per il comparto tecnico è di una qualità altissima, soprattutto a livello visivo.

Muoversi in un cartone animato Passiamo dunque ai dati di fatto ed andiamo ad analizzare quello che è il cuore ed il fulcro vero e proprio di Cuphead: il gameplay. Iniziamo col parlarvi innanzitutto del piccolo incipit narrativo che ci porta ad affrontare nientepopodimeno che il Diavolo in persona. Cuphead (che è anche il nome del protagonista) ed il fratello, Mugman, decidono di recarsi al Devil’s Casino (Casinò del Diavolo), non stando ovviamente a sentire il nonno premuroso che li invita a non andare. Giunti sin lì, iniziano ad avere una serie di mani fortunate con i dadi, vincendo sempre più. A questo punto, King Dice (Re Dado), convoca il diavolo in persona (che è il proprietario del casinò) e questi propone una scommessa ai due: un’altra mano vincente in cambio di tutti i soldi del casinò. In caso contrario, però, le loro anime diventeranno di sua proprietà. Inutile dirvi come andrà a finire, poiché molto intuibile. I due fratelli perdono, ma chiedono una soluzione alternativa: a questo punto, il Diavolo li invita a recuperare i contratti di tutti coloro che gli devono l’anima (vittime probabilmente del medesimo trucco) e devono farlo anche in fretta; entro un giorno, precisamente. Oppure, le loro anime andranno perdute.

Cuphead e Mugman non possono far altro che accettare la controproposta e dovranno trovare tutti i personaggi, viaggiando per Inkwell Isle (Isola Calamaio), suddivisa in tre aree. Il loro nonno, Elder Kettle (Vecchio Bollitore), deciderà di aiutare i due protagonisti dando loro una pozione che gli permetterà di sparare colpi dalle loro dita. Questo è quanto! Inizia così la folle e bizzarra avventura di Cuphead. Sappiate che tutte le cutscene del gioco sono rappresentate in maniera illustrata e sono davvero una gioia per gli occhi. Siamo quindi pronti a muovere i primi passi nel mondo di Cuphead. A casa del nonno vi sarà un tutorial per apprendere i comandi base del gioco, ma a voi la scelta di eseguirlo o meno. Il titolo, come spiegato poco sopra, è suddiviso in tre aree e per passare ogni volta a quella successiva sarà necessario recuperare tutti i contratti dei vari personaggi che devono la loro anima al Diavolo. Questi non saranno altro che dei boss, da affrontare e sconfiggere, in modalità Simple o Regular (occhio che per finire il gioco sarà necessario sconfiggerli tutti in Regular).

A differenza dei classici Run and Gun, Cuphead dispone classici livelli e boss fight nell’overworld del gioco. Per cui, non vi saranno stage con la rispettiva boss battle da superare, né tantomeno un numero di livelli da affrontare e superare fino a giungere al boss di turno. Nel titolo in questione il tutto è strutturato in maniera totalmente diversa. Vi saranno inoltre proprio più boss fight che non livelli standard da affrontare. Sì, avete letto bene! Ogni area avrà infatti soltanto due livelli Run and Gun; il resto saranno livelli boss. Alcuni di essi andranno affrontati normalmente, mentre altri, invece, a bordo di un aeroplano in salsa SHMUP. La scelta può risultare piuttosto strana o bizzarra, ma a conti fatti avvincente.

Tuttavia, questo tipo di struttura può risultare un tantino pesante ed eccessiva alla lunga, specie se si vuol fare una sessione di gioco più corposa. Questo è dovuto inoltre anche alla difficoltà per nulla bassa del titolo e a causa di questo schema simil boss rush, il giocatore potrebbe magari stancarsi prima del previsto. Ma il tasso di sfida non è un problema in sé, sia chiaro. Anzi… è uno degli elementi base che rende l’esperienza di Cuphead avvincente. Semplicemente, è la struttura dei livelli e dei boss che può creare questo fenomeno. Tutto sommato, però, bisogna anche specificare che la scelta era inevitabile per regalare battaglie epiche e di gran spessore, suddivise in varie fasi e momenti che rendono il tutto uno spettacolo assoluto. Probabilmente, andava quindi inserito un qualcosa in più per spezzare il ritmo con i continui boss e due livelli per mondo in effetti possono risultare un tantino pochi. Cuphead è difficile, però non si può leggere che sia il Dark Souls dei Run and Gun. Non se ne può più di vedere affibbiato il nome di Dark Souls a qualsiasi cosa che risulti difficoltosa; come se la saga di From Software fosse il sinonimo di difficoltà dei videogiochi.

Chi segue Games Collection probabilmente lo fa innanzitutto da appassionato di retrogaming, per cui ci sarebbe un po’ da ricordare i VERI giochi difficili (e qui concorderete). Non che Dark Souls non lo sia, ma non è assolutamente il più difficile e non è tra i più ostici di sempre. Tutt’altro. Piccolo sfogo a parte, dicevamo che il prodotto di StudioMDHR è caratterizzato da un elevato tasso di sfida e da una difficoltà alta, ma particolare. Intendiamoci, il gioco sa essere trial and error il giusto e volutamente non dispone di checkpoint né nei livelli standard, né in quelli dei boss. Per cui, un errore può essere veramente fatale. Che la scelta sia giusta o meno, funzionale oppure no, è difficile stabilirlo. Una scelta è pur sempre una scelta.

Sicuramente, l’assenza di checkpoint può mettere in difficoltà i videogiocatori inesperti o comunque abituati agli standard odierni (checkpoint e autosalvataggi continui). Ma questa è l’esperienza che i fratelli Moldenhauer hanno voluto offrire: puramente old style e vecchia scuola. A causa di tutto ciò, non mancherà quindi il senso di frustrazione di non riuscire a superare un determinato punto od una battaglia, dovendo poi ricominciare tutto da capo (bestemmia pura nel momento in cui si perde ad un passo dalla fine del livello). Sebbene quindi la frustrazione possa esser vista come una nota negativa, soprattutto per gli standard attuali, bisogna anche dire che Cuphead è bello proprio per questo. Perché ci fa incazzare e dannare l’anima (dopotutto, siamo alle prese col Diavolo, mica con Gerry Scotti!?).

E se il videogiocatore di oggi giustifica qualsiasi stronzata in Dark Souls perché “beh, ma è una scelta di game design”, allora non rompete le palle con Cuphead e soprattutto evitiamo i paragoni stupidi. Dico tutto questo anche dopo aver letto varie lamentele sul gioco in questione, proprio in merito alla difficoltà. Tra l’altro, perché prima la intendevo come particolare? Spieghiamo subito: nel titolo vi sono dei potenziamenti che è possibile acquistare negli Shop disposti nelle tre aree. Per farlo, saranno necessarie delle monete. Cinque saranno disposte nei livelli Run and Gun, mentre due saranno ubicate in ogni mondo. Una, vi sarà donata da un personaggio in seguito a qualcosa, mentre l’altra è nascosta. Vi sono anche dei mausolei (uno per mondo) in cui troverete delle abilità speciali e in questi dovrete dar provare di abilità con le parry.

Nel gioco vi saranno alcuni elementi o mostri di colore rosa che è possibile distruggere/sconfiggere proprio con una parry. Per eseguirla, sarà necessario saltare e premere il tasto del salto nel momento giusto in cui dovrete colpire qualsiasi cosa di tal colore. Arriviamo quindi al dunque: potenziamenti ed abilità speciali varie saranno molto utili per superare più facilmente dei boss e per ognuno potrebbe essere necessario impostare un setting specifico, più favorevole alla sfida che vi troverete dinanzi. Ed è proprio per questo che la difficoltà del gioco è molto particolare, proprio perché un abilità vi potrebbe favorire in battaglia più di un’altra e viceversa e ciò dona a Cuphead anche un pizzico di strategia e tecnicismo, seppur minimale. Sia chiaro, è innanzitutto prevista tanta pazienza, nonché l’abilità del giocatore, ed imparare il livello che ci si trova davanti.

Però, scegliere i potenziamenti e le abilità giuste nel momento opportuno può fare la differenza; stesso discorso riguardo l’utilizzo delle parry. Chiaramente, è possibile impostare le varie abilità del personaggio solo dalla world map. Questo titolo però non è solo difficoltà, ma anche divertimento, estro creativo e tante idee ben confezionate e dovrebbe essere ricordato e giocato soprattutto per questo. Sebbene i livelli Run and Gun siano pochi ed i mondi in generale non tantissimi (“solo” tre, dopotutto, più il finale), al contempo il tutto risulta sempre originale, con scelte mirate e ben precise. Potrà esserci qualche boss battle meno ispirata od un pochino sottotono, ma nel complesso ritroviamo ogni cosa realizzata in maniera stupenda e con uno stile pazzesco. Senza contare che il gioco scorre fluidissimo, senza cali. Il level design è quasi sempre di spessore e che siano boss o semplici nemici, su schermo vi ritroverete molto spesso una marea di elementi, da schivare o distruggere.

I Run and Gun sono caratteristici proprio per disporre di alcune sequenze da veri e propri platform, e Cuphead non è da meno. Vi saranno salti da calcolare al millimetro, soprattutto sfruttando l’abilità dash, uno scatto un po’ vagamente simile a quello di Joule Adams di ReCore. Infatti, è possibile eseguirlo anche durante il salto e vi tornerà utile per raggiungere svariate piattaforme. Anche per quanto riguarda le boss battle, se alcune si svolgono a schermata fissa con solo i vari step del caso, altre saranno a scorrimento laterale oppure verticale, per cui oltre a concentrarvi sul boss, dovrete anche porre attenzione alla struttura del livello stesso. Saranno proprio quelli di tipologia SHMUP a mettere veramente a dura prova i riflessi, ma anche in questo caso la fluidità è garantita al massimo. Piacere per gli occhi da vedere e da giocare. Semplicemente strepitoso! Andando a guardare le abilità di Cuphead, oltre al parry e al dash, ritroviamo anche delle mosse speciali, utilizzabili riempiendo una sorta di barra caratterizzata dalla figura delle carte francesi. Inoltre, arrivando a cinque carte sarà possibile attivare una delle tre Special Art sbloccabili superando le prove dei mausolei. Infine, ricordate che la nostra testa di tazza potrà subire sino ad un massimo di tre colpi, anche se vi saranno alcuni potenziamenti che possono portare l’indicatore del danno fino a cinque.

Tra l’altro è possibile giocare in cooperativa multiplayer, ciò nonostante non abbiamo potuto provarlo in due giocatori ed inoltre non è presente alcuna modalità online. Il titolo essendo suddiviso in tre aree più una piccola, finale, non è particolarmente longevo, però il tasso di sfida e la difficoltà pura faranno sì che starete più tempo del previsto davanti allo schermo. Se poi siete dei perfezionisti e volete completare il gioco al 100%, allora munitevi innanzitutto di una pazienza spaventosa, poiché finendo il gioco facendo tutti i boss in Regular Mode, ne sbloccherete una nuova: Expert. Inoltre, in ogni livello ed in ogni boss fight vi saranno delle condizioni da portare a termine, nonché un voto e non mancheranno ovviamente i vari achievements. Facendo determinate cose, potrete sbloccare tante cosucce interessanti, come una modalità in bianco e nero ed altro. A voi la scoperta!




Conclusioni

Cuphead non è un capolavoro (ma lo è senza dubbio sul piano artistico e stilistico), però è sicuramente un prodotto di gran spessore e che saprà regalarvi ore di divertimento unite a bestemmie e frustrazione. Facendo un giro per il web è facile intravedere che si parli di questo titolo soprattutto per la sua difficoltà ed il tasso di sfida molto alto, ma spero vivamente che venga ricordato in futuro soprattutto per il suo fascino e per la sua bellezza videoludica; per il gioco che è… il quale sembra davvero ti faccia muovere all’interno di un cartone animato e lo fa con una semplicità inaudita.
Se avete Xbox One o comunque Steam/Windows 10, compratelo e non ve ne pentirete. Vale assolutamente il prezzo del biglietto ed è un’altra esclusiva (seppur console) che Microsoft mette a disposizione, rendendo sempre più appetibile il caro botolone, in attesa degli eventuali sequel.

Pregi

  • Un ritorno allo stile old school che ci voleva proprio
  • Artisticamente superbo ed impeccabile (sembra di muovere un cartone animato)
  • La gestione dei potenziamenti dona un pizzico di "strategia"

Difetti

  • La struttura del sistema "boss fight" a livelli alla lunga può diventare un tantino pesante
  • La scelta di non mettere dei checkpoint può essere un'arma a doppio taglio
8.8

Ottimo

Appassionato di videogiochi sin dalla tenera età di 3 anni, scrive per il settore dal 2010 e da allora non si è più fermato. Nutre amore profondo per Nintendo ed i suoi brand, in particolare per quello di The Legend of Zelda. Col tempo, però, ha conosciuto e scoperto tante nuove produzioni, sia odierne che del passato, affinando i suoi gusti e la sua cultura videoludica. Nel tempo perso, ambisce a diventare un game designer ed un compositore-musicista, ma al momento restano sogni chiusi nel cassetto... almeno per ora!

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